La
adoperiamo ogni giorno con noncuranza, talvolta persino con una certa
frettolosa brutalità, ma quanto possiamo dire di conoscerla?
Se dovesse fare assegnamento su ciò che ne sappiamo al di là
delle necessità pratiche della comunicazione, a stento l’italiano
si considererebbe la nostra “lingua madre”. Lo parliamo
a orecchio, lo scriviamo alla meno peggio, e della sua storia secolare
tratteniamo una manciata di sentenze latine da citare (di solito scorrettamente)
nelle occasioni propizie. Un po’ poco perché si possa dire
di “sapere l’italiano” – come se parlarlo bastasse
per essere abilitati alla sua conoscenza.
Un peccato, a pensarci bene. Della nostra lingua abbiamo incessante
bisogno e ne sentiamo continuamente il disagio. Almeno gli elementi
fondamentali, almeno quelli, poterli padroneggiare… Ma per i più
ormai quel che è stato è stato. Ci si arrangia, raccomandandosi
ai surrogati della scuola che si diede latitante. Le domande fioccano,
assillanti, imperative. Si dice così o cosà? Si scrive
con l’acca, senz’acca, con due acca addirittura? L’Italia
intera è lì, a chiedere se bisogna scrivere sognamo o
sogniamo, se si dice stomachi o stomaci? E tutto questo lo chiamiamo
“amore per la lingua”.
Di regola è sconsigliabile, se non proprio impossibile, accostare
tra loro troppi argomenti. Parlando di lingua italiana non solo si può
parlare di tutto, ma in un certo senso si deve, è inevitabile.
Letteratura, economia, diritto, informatica, pittura, gastronomia, moda,
costume, politica, sessualità, niente sfugge all’abbraccio
della lingua che tutto assimila e trattiene nel suo seno capace e ospitale.
È ora che si sappia che l’italiano, inteso come lingua,
ha alle spalle una storia densa di colpi di scena come in un romanzo.
Questa storia, seppur misconosciuta, è emozionante come una vecchia
fotografia che ritragga un nostro lontano parente, talmente lontano
nel tempo da sembrarci estraneo ma dai cui lineamenti affiora un’aria
di famiglia, un presentimento di quel che siamo noi ora, un’avvisaglia
di futuro che un anno dopo l’altro è diventato presente,
è qui. Risalire quella storia per gradi e con comodo, soffermarsi
sui suoi personaggi più curiosi, sui suoi episodi più
significativi, sulle sue stranezze, è lo scopo del nuovo corso
che prenderà avvio a gennaio del prossimo anno.
C’è chi della lingua ha soggezione e quasi paura: in questo
corso si insegna a non averne. È un corso incoraggiante perché
con numerosi esempi, aneddoti, episodi tratti dalla storia, dalla letteratura,
dall’attualità, mostra quanto e quante volte persino i
più riveriti maneggiatori di penna e macchina da scrivere inciampino
sui loro ferri del mestiere; un corso che vuole mettere sullo stesso
piano l’umile parlante e il grande romanziere, la pacata annunciatrice
televisiva e lo sfacciato parlamentare che, più che non sapere
le regole della grammatica, le usa senza alcuna capacità di giudizio.
Marco Cavalli
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